Non ti dirò il mio nome, i barman non hanno mai un nome perchè certe cose non si confessano proprio a nessuno.
Era una notte da lupi, di quelle che nei bar resta solo chi ha tanto da festeggiare. O da dimenticare.
La ricordo perfettamente perchè fu la prima volta in cui mi innamorai a prima vista.
Lei era al bancone: bellissima, con lo sguardo perso nel fondo di un bicchiere. Le dita sottili ad accarezzarne elegantemente il bordo e far tintinnare il ghiaccio. Non serviva notare l’eyliner colato per capire che aveva pianto.
Ero maledettamente troppo giovane per fare qualsiasi cosa. Avrei dovuto parlarle, avrei potuto consolarla, approfittare della situazione… Qualsiasi cosa, ma non starmene a rigirarmi un libro tra le mani. Mi portavo sempre un libro per i momenti morti, anche se erano davvero pochi, ed ora mi ero ritrovato, inconsciamente, ad afferrarlo da sotto il bancone in cerca di aiuto. Ho sempre trovato le risposte migliori proprio nei libri. Così lo apro e… Lo sapevo! Tra le tante parole trovai quelle che parlavano direttamente a me. Nel libro Lila e Allison stanno davvero uno schifo: si trovano in un pessimo bar, il televisore è rotto (a dire il vero l’ha colpito Allison con uno sgabello), Lila è malata e non può bere ed il barman blatera qualcosa sugli ebrei. Ricordano una serata al college, passata a bere un giro dopo l’altro di Suffering Bastard, “povero disgraziato”. Quando ti senti uno schifo, un po’ d’alcol in corpo ti fa sentire meglio. Se a versartelo è uno sconosciuto dietro ad un bancone ti fa sentire anche meno solo. Lo preparo:
Suffering Bastard
4 parti di gin, 3 parti di brandy, 1 parte di succo di lime, sciroppo di zucchero, angostura, ginger beer. Verso in un bicchiere di tipo Highball ghiacciato e faccio roteare con fare scenografico fino a rivestire tutto il bicchiere. Butto un occhio ma ancora non ho catturato la sua attenzione così mi limito a buttare l’eccedenza. Riempio il bicchiere di ghiaccio e aggiungo il gin, il brandy, il succo di lime e lo sciroppo di zucchero. Agito bene e riempio col ginger beer. Mescolo delicatamente; non so nemmeno io il perchè ma mi ritrovo a pensare, non senza un certo imbarazzo, alle curve del suo corpo sinuoso. Una fettina di cetriolo, una di lime, un rametto di menta ed è pronto.
Le metto davanti il bicchiere e le dico, fascinosamente, “Un Suffering Bastard per cancellare le tue disgrazie”. Pessimo approccio ma concedetemelo, vista l’inesperienza.
Allison, decisi che si chiamava così, alzò appena quei suoi occhi scuri e lucidi e lo assaggiò. Fece un timido sorriso e mi sentii avvampare, come quando svuoti in un sol sorso un bicchiere di whisky.
Quella notte mi innamorai per la prima volta. Non della mia Allison, però, che vidi lasciare il bar diretta chissà dove senza nemmeno sapere il suo vero nome. Inesorabilmente, direi.
Mi innamorai del libro che mi aveva parlato, scritto da Daniel Hadler dall’altra parte dell’oceano apposta per me. Me ne innamorai perdutamente.
Sembra confuso, ma così è l’amore e, come dice l’autore, “Non sono i nomi, il miracolo sono gli avverbi, il modo in cui si fanno le cose”. Così quella sera, risolutamente, decisi di seguire il mio vero amore e dopo il corso barman roma, iniziare la mia nuova avventura con un caffè letterario.